Le notti nell’osservatorio in costruzione

(Adriana Manetta, 2012)
Con la capannina bruciata, le nottate si trascorrevano in osservatorio. L’edificio non era ancora terminato, c’era solo la soletta fra i due piani, mancavano le tramezze interne e quelle esterne. Anche in assenza di vento, tirava sempre un’arietta frescolina che intirizziva mani e corpo. L’illuminazione era data da una candela, e il “pranzo” era servito su un grande rullo di legno per avvolgere i cavi.
A quel tempo era molto attivo un certo Jean Pierre Conan, impiegato all’Euratom di Ispra. Forse è tornato in patria. Era un tipo taciturno, alto e magro, con l’erre moscia. Tradizionalista, parlava con forte accento francese. Indossava un bel panciotto di fustagno nero con due bande ricamate in rilievo con ramage coloratissimi, del quale andava molto fiero. C’erano poi Alessandro Cespa, il signor Bossi, Angelo Galli, Camilla Zanzi (affettuosamente chiamata Camilleuse), Saverio Manetta, Giuseppe Li Bassi, Camillo Brioschi, Guido Agliata e suo cugino Adriano Dorbez, Aldo Caravati e tanti altri, ma questi erano i piu assidui.
Le sorelle Saveri e le Vanoni a sera tornavano a casa.
L’acqua da bere arrivava in taniche, portate a mano dal serbatoio all’interno dell’impianto idrico del Comune di Varese. Era acqua potabile ma Camilla, farmacista, ci versava l’euclorina, che conferiva all’acqua un odore ed un sapore forte di cloro. Non mancava mai, comunque, un bel fiaschetto di Bardolino che terminava rapidamente e sembrava ridurre un poco il freddo e la fatica.
Il nostro lavoro consisteva nel preparare i materiali, accatastare gli assi da ponte, bruciare gli scarti in bidoni di ferro, rendere insomma il cantiere praticabile per il giorno seguente. Furia saliva ogni giorno al termine del lavoro d’ufficio, reclutando chi avesse disponibilità di tempo. Li prelevava con la 600 ognuno a casa propria. In questo modo, oltre a incentivare la partecipazione, entrava in contatto coi familiari dei ragazzi e delle ragazze, non sempre pienamente consenzienti ai lavori in cima alla montagna, visto come i ragazzi tornavano a casa sporchi di cemento, asfalto e fango.
La sera, come dicevo, illuminati dalla candela, prima di prepararci per la notte, Furia recitava una preghiera alla quale tutti partecipavano, anche Agliata e Dorbez, praticanti un’altra religione.
La notte giungevano dall’abetaia i rumori più strani. Il canto dell’allocco e della civetta accompagnavano la nostra solitaria presenza; anche le foglie secche che cadevano al suolo generavano soprassalti. Per la notte Furia separava i maschi dalle femmine, in modo che non ci fosse alcuna promiscuità, figurarsi, con la stanchezza che ci induriva i muscoli, il sonno ci prendeva immediatamente. Ci stendevamo sul cemento, sopra un foglio di carta catramata e una coperta. Ci copriva una coperta e sopra ancora i paletot, le giacche ed ogni altro indumento disponibile. Bossi si infarciva di fogli di giornale, diceva che tenevano caldo. Furia indossava immancabilmente una piccola coppola e il maglione rosso abbottonato lateralmente alla russa. Poggiava la testa su una specie di rialzo, chiamarlo cuscino sarebbe alterare la realtà, e teneva a fianco sempre la pistola, pronta per ogni eventualità.
La mattina, il sorgere del sole illuminava di sguincio le scarpe … si perché erano pochi coloro che le toglievano, soprattutto perché nel buio della notte sarebbe stato difficile indossarle qualora fosse scappata qualche necessità fisiologica urgente. Dai volti illuminati dalle lame di luce si levava il vapore denso dei fiati: sembrava che tutti fumassero.
La stanchezza provocava in Furia ora malinconia ora scatti d’ira che mettevano tutti sull’attenti. Era comunque affascinante e coinvolgente ascoltarlo nei rari momenti che dedicava alle stelle, ai fiori, al futuro.
Così giorno dopo giorno l’osservatorio crebbe e si passò ad un più razionale assetto del piazzale antistante l’edificio, spostando manualmente macigno dopo macigno.
Ricordo come fosse oggi la gioia della prima notte su un letto a castello, sopra io, sotto Camilla. Un letto fresco e fragrante dopo tante notti passate fra puzze impensabili, col pigiama, lo spazzolino da denti, un lavandino per bere e per lavarsi la faccia. Le camerette erano affollate dai tanti associati, troppi per i castelli disponibili, e qualcuno dormiva ancora per terra, ma su un materassino era ben altra cosa!

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