Il meteorite sul Monte Monarco
Il 13 agosto 1962 alle 18 circa, gli abitanti di Induno videro una palla di fuoco sul Monte Monarco, accompagnato da un boato. Si pensò alla caduta di un piccolo aereo, ma i pompieri e le molte persone che intervennero non trovarono un incendio e neppure i resti di un disastro. Trovarono un cavo dell’alta tensione tranciato, e la superficie del terreno vetrificata. Ascoltando le testimonianze, Furia ipotizzò l’esplosione di un meteorite.
Mercoledì 15 agosto 1962 h.16 Con Bossi, Trevisan, Rossi, Adriana, Anna e Lussich al Monte Monarco ove non si sa se vi sia caduto un aereo, un elicottero o un razzo! Trattasi invece di una meteora. Da un primo sommario rilevamento in loco ho potuto accertare la presenza di materiale vetroso superficiale e alla profondità di circa 45 cm alcuni frammenti metallici! che unitamente a tutti i campioni di corpi sospetti vengono portati qui per essere analizzati. Incarico Trevisan a fare un elenco dell’occorrente: reagenti ed altro da acquistare subito o domani stesso, per passare immediatamente all’analisi. Contemporaneamente io stesso proseguirò le ricerche al M. Monarco e man mano il materiale affluirà al laboratorio di chimica. Rossi e Baratti collaboreranno per le necessarie osservazioni geologiche e per individuare i tipi di pietre che durante gli scavi si saranno rivelate a contatto con il percorso del meteorite o che siano comunque interessate dalla temperatura da esso causata (S.Furia).
Rossi e Trevisan raccomandarono l’acquisto di un rivelatore di radioattività. Fu acquistato un contatore Geiger-Muller della Philips, del costo di lire 135mila + IGE. Nella ricognizione del 18 agosto trovarono tracce di radioattività, e tre fori nel terreno, di poco più di un centimetro di diametro, dovuti ai frammenti caldissimi del meteorite. Il meteorite era passato a 4-5 metri dal traliccio e doveva essere esploso in aria, sviluppando una temperatura molto elevata. Attesero qualche giorno e iniziarono a scavare, seguendo il percorso dei frammenti. Il materiale del meteorite rivelò la sua costituzione di ferro puro.
Per gli scavi Furia chiese l’aiuto di un paio di genieri. In risposta, dopo qualche giorno arrivò nell’abitazione di Furia un commissario di PS, il quale pretese di controllare le carte dell’associazione per l’accusa di scavi non autorizzati per l’estrazione di sostanze radioattive. La cosa si risolse dietro l’intervento dell’amico ministro on. Virginio Bertinelli.
Dopo giorni passati nell’angusto buco, scavando delicatamente a mano per recuperare i campioni fino a circa un metro e mezzo di profondità, Furia si procurò una paralisi del braccio sinistro e fu ricoverato dal 21 settembre al 7 ottobre. Così scrisse al prof. Zagar:
Gent.mo Sig. Presidente, sono assai dolente per non aver potuto partecipare così come speravo al congresso della S.A.I. Da pochi giorni sono stato dimesso dall’Ospedale dopo oltre un mese di degenza a causa di una paralisi del braccio sinistro con sospetta diffusione ad altre parti del corpo.
Ora le mie condizioni sono tornate quasi normali. La Provvidenza ha operato moltissimo a mio immeritato favore, e questo affermo perché il parere del corpo medico concorda nel definire miracoloso l’esito del mio male, del quale non si conosce a tutt’oggi l’origine o meglio la causa. Forse la Provvidenza ha voluto conservarmi ancora in questo mondo per vedere portare a termine l’opera che da anni è stata per me causa di gioia e di tormento, o forse ancora una volta sto a peccare di superbia cercando di interpretare in modo egoistico ed arbitrario fatti che esulano dalla mia possibilità di comprensione e di giudizio. (Varese, 16 ottobre 1962).
Agli scavi partecipò anche Enrico Malnati, uno dei “monelli” della Motta. Era stato introdotto insieme al Osvaldo Pedetti da Lucio Bossi. Poichè questo incontro gli cambiò la vita, Enrico saluterà Lucio come “l’uomo del delitto”.
Nel settembre 1962 Furia giocò la carta della Lotteria nazionale per ottenere un po’ di fondi. La G.U. 10 maggio 1963 assegnò alla Società Astronomica Varesina una quota degli utili.
Nei mesi seguenti si continuò a salire alla baita. Domenica si scendeva presto per aprire la sede alle visite dei soci e accendere per tempo la stufa per accogliere i ragazzi di Urania Minima. Il tempo trascorreva nello studio e l’elaborazione dello statuto. Nel marzo 1963 iniziarono i lavori di ristrutturazione della sede di Villa Mirabello. Furono ripristinati i servizi igienici e lo spogliatoio. Si realizzò la scrittura “Planetarium” sopra l’ingresso della cappella sconsacrata, pensando di collocarci un planetario.